6.6.08

Rósa

Quel pomeriggio entrai nel salone quasi per disperazione. Il luogo mi era stato raccomandato da un amico che lo frequentava spesso. Mi aveva detto: "vai tranquillo, lì troverai quello che cerchi". Ed io, tranquillo, avevo suonato il campanello.

La persona che mi accolse aveva la faccia rotonda e sudata, capelli lunghi ma radi, persi ormai nella memoria. Le esperienze segnano e lui sembrava averne avute abbastanza. La sua scarsa altezza veniva compensata da una ricca riserva di grasso sui fianchi che gli conferiva un'andatura caracollante ed un'aria da buono-cattivo, un animale mansueto che è stato costretto dalle circostanze ad essere feroce, suo malgrado. I suoi occhi, spenti, guardavano in basso, come se nelle scarpe ci fosse la verità vera sulla mia persona. "Esperienza", pensai.

Ogni passo faceva ondeggiare quello stanco galeone alla deriva. Il parquet centenario non aveva più venature né voglia di scricchiolare sotto quei passi stanchi e sempre uguali, avanti ed indietro, indietro ed avanti, del vecchio trasbordatore di anime perse.

Nel corridoio lungo e buio si susseguivano ritratti antichi: uomini chiari con baffi scuri, donne dalla vita stretta e dalle gonne larghe. Drappi di un rosa opaco accompagnavano il nostro passaggio formando un mare di ricordi in cui uomini di ogni tempo si erano lasciati annegare.

Il rumore dei nostri passi si fece sempre più forte e anche nella stanza il trambusto si fece più rumoroso. Probabilmente si sgomitava per trovarsi in prima fila una volta che la porta scorrevole si sarebbe aperta; riuscii a distinguere rumori acuti, eccitati, pieni di speranza, risatine sommesse e lunghi sospiri.

Arrivammo davanti alla porta dietro alla quale si trovava ciò per cui ero venuto.
In questi casi, i convenevoli servivano a ben poco e l'uomo lo sapeva bene. Sapeva anche che là dietro, chi con le sue curve mozzafiato, chi con la sua carenatura da urlo, quelle ragazze avevano un punto forte da giocare e lo avrebbero fatto valere, ad ogni costo. Loro volevano me forse più di quanto io non volessi loro: la caccia all'uomo era aperta ed io da predatore incominciai a sentirmi preda.

L'uomo mi guardò per la prima volta negli occhi, inespressivo. Aprì la bocca quanto bastava per annunciarmi: "Benvenuto nel nostro salone. Passi un buon pomeriggio, Signore".

La porta finalmente si aprì. Ed eccomi là, sulla soglia, ad essere sommerso da tanta opulenza: profumi e colori penetranti, abbaglianti, mi fecero quasi sobbalzare. Erano tante, belle, grandi, potenti, impegnative. Non avevo mai visto niente di simile finora.
Mi furono subito addosso. Sorrisi, imbarazzato, cercando di incontrare gli occhi di tutte per cortesia e necessità, scorgendone poi altri curiosi in seconda e terza fila mano mano che riuscivo a penetrare quella fitta massa addossata su di me.

Il gruppo piano piano si disgregò ed arretrò, mi lasciò al centro della grande stanza scura. Solo allora, sfruttando i riflessi della luce che vinceva la resistenza delle spesse tende, incominciai a distinguere le diverse sagome, la disarmante bellezza di alcune, la stuzzicante peculiarità di altre.
Respiravo profondamente. C'era ben poco da parlare ora, tutto era ben chiaro. Toccava a me agire, loro sarebbero sottostate alla mia decisione. Ero lì per scegliere la mia compagna e l'avrei fatto, perbacco!


Le passai in rassegna una ad una, camminando piano, soppesando ogni singolo passo, indirizzandolo in una o in un'altra direzione. Cercavo di notare ogni piccolo particolare, guardando, annusando e toccando la loro pelle, specchiandomi nei loro occhi, accarezzando i loro cerchi perfetti, come le manopole.

Poi scorsi lei. Se ne stava lì, in un angolo, sembrava indaffarata a fare qualcos'altro ma c'era ben poco da combinare in quel salone a parte dare retta a me. La cosa mi incuriosì e decisi di rivolgerle la parola.
Lei mi vedeva ma non osava guardarmi, sapeva che mi stavo avvicinando, il suo cuore era un pistone che martellava al ritmo dei miei passi decisi.

In un attimo fui di fronte a lei e prontamente le chiesi:
"Qual è il tuo nome?"
"Rósa", mi rispose, tenendo gli occhi bassi.
"Non devi essere di qui dall'accento che hai. Da dove vieni?"
"Da lontano. Dall'oriente."
"Perchè non sei con le altre a fare la mia conoscenza? Non sei interessata a me? Non ti piaccio?"
"No, no... Non è così... Ho solo paura che Lei sia come..."

"Il suo primo marito l'ha sedotta ed abbandonata, Signore. E Rósa non si è più ripresa". Una delle altre interruppe la nostra conversazione. La zittii con un'occhiata e mi rivolsi nuovamente a Rósa:
"È così, Rósa?" La chiamai per nome e la cosa mi fece arrossire. Lei annuì tristemente.
"Non deve essere stato facile per te. Povera cara...", commentai.

Silenzio. Irreale. Come in un campo di battaglia dopo la sconfitta. Tutte le altre erano rimaste ammutolite dal mio atteggiamento.

Mi rialzai e tolsi la mano che, fuori dal mio controllo, durante la conversazione era finita per posarsi dolcemente su di lei.

Sentii di dover andare, andare via. Tutto girava intorno a me, quello che rimaneva era lo sguardo profondissimo di Rósa che avevo condiviso solo per pochi attimi. Salutai e mi ritirai. L'uomo si limitò ad alzare la testa per sincerarsi che uscissi senza provocare danni. Dovevo avere un'aria sconvolta perchè anche sull'autobus, sulla via del ritorno, la gente decise di starmi lontana.

Avevo in mente solo lei. Nei giorni seguenti l'immagine di Rósa mi apparve in ogni dove, non riuscii a chiudere gli occhi senza vederla, non riuscii a sognare senza incontrarla. La vidi in ogni inimmaginabile futuro con me. Ero esausto. Mi dichiarai vinto. Era troppo. Dovevo tornare. Dovevo capire.

Ritornai. Lei mi aspettava. Capii.



La presi con me e firmai tutte le carte, le assicurai che avrebbe avuto una vita felice, fatta di reciproco amore ed assistenza.
Il sudato gestore del salone ebbe la conferma che fossi matto e poco prima di salutarci mi disse: "Io ne ho viste di cose strane nella mia vita, ma scegliere Rósa in mezzo a tutto quel ben di Dio le supera tutte!".
Sorrisi e girai la chiave. Il suo rombo gentile mi riempì il cuore.
Rósa era perfetta, perfetta per me come io lo ero per lei. Dio li fa e poi li accoppia.

Rósa perchè è donna del sud, da amare e da rispettare, perchè è moglie, amante, madre, figlia. Tutto insieme.



Rósa perchè Pode-.



Rósa perchè Venditti le ha dedicato una canzone alla sua bellezza, quando era un cantante...



Rósa perchè è cor-rosa dai dubbi, quei dubbi che la spingono oltre le strade battute, ad errare alla ricerca della verità, della sorgente.

O Rósa, portamo lontano, fammi scoprire quello che non so, fammi andare oltre i limiti (ma non oltre il limite).

È deciso. Io e Rósa partiamo. Soli soletti.
Dove?
Ha importanza?

*L*